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Un ingrediente irrinunciabile in pasticceria: la preziosa vaniglia

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Per secoli le spezie sono state un bene di lusso, un ingrediente che solo i nobili e le casate più agitate potevano permettersi. Al giorno d’oggi, per merito della globalizzazione, il loro prezzo è calato e oramai sono un prodotto a cui tutti possono accedere. Tuttavia ve n’è una il cui costo elevato la rende ancora particolarmente pregiata: la vaniglia.

La vaniglia, Vanilla planifolia, è un’orchidea rampicante monoclina originaria del Messico, diffusa nel sottobosco delle foreste tropicali umide. I fiori che sbocciano solo un mattino per ogni stagione riproduttiva, il cui colore varia dal bianco al giallo pallido con sfumature verdognole, vengono impollinati dalle api del genere Melipona e, solo a fecondazione avvenuta, l’ovario si trasforma nella capsula pendente, il cosiddetto baccello. I baccelli di colore verde e dall’aroma amarognolo sono sottoposti a un laborioso processo di lavorazione. Una volta raccolti, circa nove mesi dopo la loro formazione, vengono immersi in acqua calda per alcuni minuti per interrompere i cicli metabolici. In seguito, per evitare la formazione di muffe e la proliferazione di batteri, viene eliminata la gran parte dell’umidità contenuta in essi, i quali, per via dell’ossidazione, diventano di color marrone scuro. Prima della commercializzazione, vengono fatti riposare per alcuni mesi in modo tale che le reazioni chimiche che avvengono in essi portino alla formazione delle sostanze aromatiche, prima fra tutte la vanillina.

Per secoli le popolazioni amerinde impiegarono la vaniglia nella preparazione dello xocoatl, una bevanda spumosa a base di cacao, acqua calda e mais. E le stesse popolazioni, in modo particolare i Totonachi, abitanti la costa e l’interno dell’odierno estado messicano di Veracruz, detennero il monopolio della produzione di vaniglia fino circa alla metà del XIX secolo.
I primi tentativi di impollinazione artificiale della Vanilla planifolia, apprezzata in Europa fin dal Cinquecento, furono condotti nel 1836 dal botanico e naturalista belga Charles François Antoine Morren. Ma solo alcuni anni dopo, precisamente nel 1841, il processo venne perfezionato. Edmond Albius, uno schiavo dell’Isola della Riunione – chiamata Bourbon fino al 1793 –, utilizzando un bastoncino di legno sollevò il rostello del fiore, un sottile lembo che separa l’antera maschile, ovvero la parte terminale dello stame, dallo stimma femminile, e con il pollice spalmò il polline riuscendo così a fecondare il fiore. Questa tecnica, impiegata ancora oggi, permise ai francesi di iniziare a produrre la vaniglia al di fuori del suo Paese d’origine e in regioni, come l’Isola della Riunione, il Madagascar e le Comore, in cui l’ape responsabile della fecondazione non è presente.

Il Messico ha così perduto il primato della produzione di questa spezia, il quale è passato al Madagascar. E nel corso dei decenni la coltivazione di vaniglia si è diffusa in altri Paesi dei tropici, tra cui Polinesia, Indonesia e Jamaica.
Oltre alla Vanilla planifolia, le altre due varietà coltivate nel mondo sono la Vanilla tahitensis e la Vanilla pompona. La prima, con note di anice, mandorla e fava tonka, è prodotta in Polinesia francese; la seconda, conosciuta anche come vaniglia banana per la lunghezza dei baccelli che sfiorano quasi i trenta centimetri, è coltivata in America Centrale e impiegata per lo più nell’industria profumiera.

Con i suoi semi neri di piccole dimensioni e una lavorazione che viene svolta interamente a mano, la produzione di vaniglia supera le duemila tonnellate all’anno.

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