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Mondi digitali, alla scoperta del metaverso tra tecnologia e fantascienza

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Proviamo a sbloccarvi un ricordo: vi ricordate di Second Life, il sito web in cui era possibile crearsi una vita parallela scissa da quella reale? Nell’ormai lontano 2003 il mondo fu “sconvolto” dall’arrivo di questa piattaforma informatica, ideata dal fisico Philip Rosedale, che, integrando strumenti di comunicazione sincroni e asincroni, permetteva agli utenti di esplorare in totale libertà un universo virtuale 3D e compiere al suo interno varie azioni, tra cui contribuire alla creazione dell’universo stesso.

L’avvento di questo sito web ha gettato le basi per il futuro di internet e delle sue infinite possibilità: infatti, Second Life può essere considerato il progenitore del Metaverso.

Esplorato da serie tv come Kiss Me First e videogiochi come Fortnite, che recentemente ha ospitato uno show di Ariana Grande, il termine “Metaverso” è stato coniato dallo scrittore statunitense Neal Stephenson che lo inserì nel suo romanzo cyberpunk Snow Crash, pubblicato nel 1992.

Nato dall’unione del prefisso “meta” con le ultime due sillabe della parola “universo” (universe, in inglese), il Metaverso è definito da Stephenson come una realtà virtuale condivisa tramite internet dove si è rappresentati attraverso un avatar. Il Metaverso, infatti, può essere visto come un universo digitale in cui video, realtà virtuale e realtà aumentata interagiscono fra loro e assieme plasmano questo stesso universo.

All’interno del Metaverso dati e informazioni di ogni tipo danno vita a uno spazio esplorabile in ogni sua dimensione, nel quale non solo è possibile muoversi in totale libertà, ma anche incontrare altri utenti, partecipare a eventi di vario tipo come concerti, conferenze e lezioni e acquistare beni e proprietà grazie alle criptovalute.

Queste azioni e molte altre sono possibili grazie alla sinergia dell’ubiquitous computing e del cloud computing, due branche dell’informatica. L’ubiquitous computing è un modello di interazione tra l’uomo e la macchina che delinea la possibilità da parte di un singolo utente di possedere più dispositivi connessi a internet per accedere in ogni momento della giornata al web e al Metaverso. Il cloud computing – un settore che forse ci è più familiare – indica la capacità di accedere in maniera infinita ai dati in nostro possesso, quindi archiviarli, elaborarli e trasmetterli attraverso le nuvole o cloud.

L’accesso al Metaverso, a differenza di quanto richiede ad esempio Second Life (il sito ad oggi è ancora attivo e funzionante), è possibile per mezzo di un visore di realtà aumentata e di controlli touch che permettono di interagire con l’ambiente in cui siamo immersi. Tramite essi è possibile assistere a sfilate di moda, come la prima Metaverse Fashion Week che nel marzo dello scorso anno ha visto la partecipazione di oltre sessanta brand e designer digitali, o ancora visitare un museo o un sito storico-artistico.

Sebbene il Metaverso sia considerato come un’unica realtà, esso risulta composto da più mondi digitali, ognuno fruibile attraverso una propria piattaforma. Meta Horizon Worlds, ad esempio, è il Metaverso di Meta, la società fondata da Marc Zuckerberg che raggruppa Facebook, Instagram e WhatsApp, a cui si può accedere tramite un’app specifica. Decentraland è invece un Metaverso a cui può accedere anche chi non è in possesso di un visore, ma in questo caso non è possibile sfruttarne appieno le funzionalità. Decisamente più accattivante dal punto di vista grafico è The Sandbox, i cui avatar hanno uno stile visivo a blocchi che ricorda Minecraft.

È indubbio che il Metaverso negli ultimi due anni abbia fatto parlare molto di sé, soprattutto in seguito alla fondazione di Meta, e che sempre più aziende e società abbiano mostrato un certo interesse nei suoi confronti, tuttavia, gli utenti attivi sono ancora pochi. A giocare a sfavore del Metaverso vi sono, tra i vari fattori, il costo elevato di alcuni visori, ma anche un certo scetticismo nei suoi confronti poiché molte persone lo considerano ancora un qualcosa di astratto anziché un mondo reale. E di certo la mancata interoperabilità tra le diverse piattaforme è un problema che le realtà commerciali dovranno superare.

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