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Lo Spiedo: una tradizione tutta bresciana

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“Gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando, sta il cacciator fischiando sull’uscio a rimirar…”. Chi non conosce la poesia “San Martino” di Giosuè Carducci?!?! Se non fosse per l'”urlare e biancheggiare del mare”, si potrebbe pensare che il poeta toscano si sia ispirato, per questo suo capolavoro, alle campagne e alle valli bresciane, tra l’altro spesso frequentate dal poeta (la definizione “Leonessa d’Italia”, data a Brescia, viene proprio dal Carducci). La nebbia… qui ce n’è in abbondanza, i cacciatori… pure, ma soprattutto, questa, è la terra dello spiedo.

Lo spiedo è per eccellenza, il piatto più rappresentativo di Brescia, ed in realtà non è solo e semplicemente una specialità culinaria, ma rappresenta un’atmosfera speciale, fatta di tradizione, convivialità e tranquillità dei mesi freddi d’autunno ed inverno.

Oggi, lo spiedo è fatto da pezzi di carne di vario tipo, detti “prese”, dal maiale al manzo, passando per il pollo, il coniglio, ma soprattutto gli uccellini, preparati e cotti con una lentezza d’altri tempi, che stride con il frenetico mondo moderno ma che rende, l’attesa nella preparazione, gioia per il palato al momento dell’assaggio.

L’origine dello spiedo, piatto popolare, avviene però in epoca Tardo Medievale, quando era vietata, dai nobili al popolo, la caccia di selvatici di grossa taglia, ma non quella di piccola selvaggina di penna. Con la diffusione delle armi da sparo, poi, le zone della val Trompia, la val Sabbia, le colline tra il lago di Garda e quello di Iseo, con i rispettivi paesi quali Serle, Botticino, Ome e Gussago, sono divenuti i luoghi principali della cacciagione di penna minuta, assumendo così grande fama per i loro spiedi. Lo spiedo nasce quindi di soli uccellini, ma con le leggi moderne che regolamentano la caccia, e anche per via della vastità del territorio bresciano, nel tempo lo spiedo si è modellato a seconda della zona, apportando questa o quella variante.

Dove si fa lo spiedo più buono? Bella domanda! Essendo un piatto prettamente domestico, evolutosi poi nella ristorazione, molti specialisti, se non tutti quelli che si cimentano nella sua preparazione, si vantano della propria tecnica di preparazione e cottura dello spiedo. E’ così tanto sentita questa competizione da generare sfide pubbliche e private. Un caso è, per esempio, la “Disfida degli spiedi” di Salò, un appuntamento autunnale che vede diversi spiedatori affrontarsi in quest’arte, venendo valutati da una giuria selezionata che ne proclama il migliore. In questa sfida, tutto è permesso e spesso vengono introdotti dagli sfidanti veri e propri ardimenti gastronomici per eccellere sugli altri, rendendo entusiasmante ed appassionata la competizione.

Come si prepara uno spiedo? Come già detto, ognuno ha la sua tecnica, ma il principio di base è piuttosto omogeneo. Tutto inizia con la spiedatura della sera prima, che è un vero e proprio rito: si infilza la ranfia, cioè lo spiedo, con i pezzi di carne seguendo uno schema ben definito; si parte sempre da una patata e poi, via via, le varie “prese”, alternate da salvia e cubetti di lardo, mentre vicino agli uccellini bisogna sempre mettere la carne più grassa o i mòmboi, rotolini di lonza e lardo. Di buon’ora, la mattina seguente, si passa alla cottura vera e propria che dura circa… 4 ore! E’ qui che lo spiedo, montato su un tamburo, gira scoppiettando sopra la carbonella, tenuto costantemente umido dal burro fuso che, ogni 15 minuti, viene versato sopra la carne, il tutto per renderla morbidissima dentro e croccante fuori.

 

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