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Dal cedro al mandarino, alla scoperta della storia e delle origini degli agrumi

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«E poi / kumquat neri che maturano in estate / mandarini gialli, arance, pomeli / […] / sono sparsi tra i palazzi posteriori / dai filari nei frutteti a nord / si estendono su colline e montagnole / e scendono fino alla pianura». Questi versi di Rapsodia della Suprema Foresta, componimento di Sima Xiangru, poeta cinese vissuto nel II secolo a.C., illustrano come la coltivazione degli agrumi, in Cina, risalga a un’epoca remota e, forse, proprio sotto il cielo del Celeste Impero è stata avviata.
Nella provincia cinese dello Yunnan è stato rinvenuto un fossile di foglia di agrume risalente al Miocene, a prova della teoria secondo la quale gli agrumi sono originari della zona orientale della regione himalayana e da lì si sono diffusi verso sud ed est.

Dei frutti di yuzu.

Difatti, le centinaia di varietà di agrumi che oggi troviamo in commercio discendono da dieci specie ancestrali, alcune conosciute, altre più rare. Di queste dieci specie, sette provengono dall’Asia e sono i più comuni cedro, mandarino, pomelo e kumquat e i più esotici micrantha, piccolo agrume sferico coltivato nelle Filippine, limone di Ichang, acido e leggermente amaro che prende il nome dalla città di Yichang, nella Cina Centro-occidentale, e mandarino di Mangshan, simile nell’aspetto al classico mandarino e originario dell’area montana di Mangshan nella provincia cinese dello Hunan; le tre rimanenti, invece, sono originarie dell’Australia e sono il finger lime, conosciuto anche come caviale di lime per via delle vescicole ricche di succo che contiene, la limetta del deserto australiano, l’unica specie in grado di crescere in terreni aridi, e la limetta australiana tonda, di piccole dimensioni e dalla forma sferica.

Cedro, pomelo e mandarino sono le tre specie che hanno dato vita al maggior numero di ibridazioni che oggi conosciamo, alcune frutto di mutazioni spontanee, altre opera dell’uomo. Il limone, ad esempio, è il risultato dell’incrocio tra cedro e arancia amara, a sua volta nata dall’unione tra mandarino e pomelo; o ancora il chinotto, che si ritenga essere il risultato di una mutazione dell’arancia amara, il lime messicano, incrocio tra cedro e micrantha, e lo yuzu, apprezzatissimo al giorno d’oggi, ibrido tra mandarino e limone di Ichang.

Quella degli agrumi è una storia fatta di viaggi che iniziò con le conquiste di Alessandro Magno. Il re di Macedonia invadendo territori indiani attraversati dall’Indo conobbe il cedro, agrume originario dell’Assam, che introdusse in Occidente favorendone la diffusione in Grecia, Palestina, Siria ed Egitto. E così il cedro, il primo agrume addomesticato dall’uomo, fece la sua comparsa nei trattati greci e latini: il primo a menzionarlo fu Teofrasto di Ereso, contemporaneo di Alessandro Magno, nell’Historia plantarum, mentre il botanico Dioscoride, nel suo De materia medica, lo consigliava come medicinale; ma la descrizione più completa sulla pianta del cedro e sui suoi frutti è quella contenuta nella Naturalis historia dello scrittore e naturalista romano Plinio il Vecchio, per citare solo alcuni esempi.

L’espansione islamica, che dal VII secolo interessò Medio Oriente, Africa Settentrionale, Penisola Iberica e Italia Meridionale, contribuì in maniera decisiva alla diffusione degli agrumi nel bacino del Mediterraneo. Nel florido contesto culturale che caratterizzò l’al-Andalus (la Spagna islamica) venne redatto, tra l’XI e il XII secolo, il primo trattato di agrumicoltura, riguardante la coltivazione di cedro, limone, pomelo e arancia amara. Quest’ultimo frutto, nel corso del Medioevo, conobbe una notevole diffusione tanto da apparire sullo sfondo di uno dei più apprezzati dipinti dell’epoca: il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck, oggi conservato alla National Gallery di Londra.

Solo più tardi, con l’avvento dell’Età moderna e l’intensificarsi dei traffici commerciali tra Occidente e Oriente fece il suo arrivo in Europa l’arancia dolce, portata, con molta probabilità, dai commercianti portoghesi che la conobbero durante le loro soste nei porti cinesi.

Il cedro mano di Budda.

Sebbene gli agrumi fossero coltivati per lo più a fini ornamentali e collezionistici, nella stessa epoca, come conseguenza della conquista dell’America, giunsero nel Nuovo Mondo. Dai primi aranci piantati nell’odierno Messico, gli agrumi si spansero in tutto il continente, dal Brasile alla Georgia. Fu proprio ai Caraibi, per la precisione nelle Antille, che nella metà del Settecento venne “creato” il pompelmo; a lungo creduto una varietà di pomelo, in realtà è il frutto dell’unione tra quest’ultimo e l’arancia dolce.

Nell’Ottocento, oltre all’arrivo del mandarino da Canton, la coltivazione degli agrumi divenne un’attività, essenzialmente, a scopo commerciale, portandoli a essere oggigiorno alcuni dei frutti più utilizzati in cucina e nella miscelazione con una produzione annua di circa 130.000.000 di tonnellate a livello globale.

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