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Cin cin: come è nato il brindisi e la sua curiosa storia nel corso del tempo

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«Discorso! Discorso! Discorso!». Quante volte abbiamo intonato queste parole durante un brindisi? Per noi italiani il brindisi è una cosa seria e ogni occasione è buona per sollevare i bicchieri al ritmo di “cin cin”. Con questo semplice gesto si celebrano i momenti più importanti delle nostre vite e gli eventi che meritano di essere ricordati, si stringono nuove conoscenze e si consolidano vecchie amicizie.

Questa azione per noi così comune, in realtà, era già praticata dalle civiltà antiche: Assiri, Babilonesi, Egizi e Sumeri erano soliti brindare con coppe e bicchieri colmi di bevande alcoliche.

Vi sono testimonianze storiche secondo le quali, già nel VI secolo a.C., i Greci offrivano libagioni alle divinità. In contesti come questi, legati alla ritualistica religiosa, le bevande santificate, perlopiù vino, venivano versate su altari o in fosse scavate nel terreno per ingraziarsi gli dèi e gli esseri soprannaturali. Solo al termine del rito i partecipanti potevano consumare tali bevande e brindare alla loro e altrui salute.

Fu con l’affermazione e l’espansione dell’Impero romano nel bacino del Mediterraneo e nel cuore dell’Europa che il brindisi assunse un nuovo significato, molto più simile a quello odierno. Accanto ai riti religiosi, il brindisi, soprattutto in seno ai patrizi, divenne un gesto per celebrare noti personaggi o avvenimenti pubblici di riguardevole importanza. Durante i secoli dell’impero, ad esempio, quando in Senato veniva approvato un nuovo decreto si brindava in onore di Augusto, il primo imperatore. Chi prendeva parte a queste occasioni arrivava quasi sempre all’ubriacatura, alla perdita dei sensi e, molto spesso, anche del pudore.

Con la diffusione del cristianesimo il gesto di sollevare il calice al cielo tornò ad avere una valenza prettamente liturgica. Nella messa, in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù, il vino diventa il simbolo del sangue di Cristo che, contenuto all’interno del calice, viene consacrato e mostrato ai fedeli. Il calice fu utilizzato fin dai primi tempi del cristianesimo per benedire il vino: i primi luoghi di culto erano ambienti comuni e il suo uso era legato alle suppellettili più diffuse, senza particolari prescrizioni riguardo alla materia o alla forma.

Il brindisi, nonostante la diffusione del cristianesimo, non perse il suo significato gioviale, ma, anzi, si arricchì di nuovi valori e utilità. In passato quando gli omicidi per avvelenamento erano pratica comune, era diffusa la credenza che il far tintinnare due bicchieri colmi di vino avrebbe assicurato la salubrità del liquido: un potenziale colpevole, infatti, non avrebbe rischiato che una piccola parte di vino avvelenato finisse nella sua coppa.

Nel corso del Medioevo il brindisi era un modo per tenere lontani i demoni e gli spiriti maligni: si riteneva che il tintinnio dei bicchieri, accompagnato a risa e grida, spaventasse questi esseri diabolici, in quanto simile ai rintocchi delle campane che annunciavano l’inizio della celebrazione eucaristica.

Questo gesto divenne così popolare che entrò, in maniera legittima, nella grande letteratura. Uno dei primi riferimenti scritti al brindisi, e in particolar modo al corrispettivo termine inglese toasting, si trova ne Le allegre comari di Windsor, la commedia firmata da Shakespeare. Sir John Falstaff, il protagonista, in una battuta esclama: «Vammi a prendere un quarto di vin cotto ed inzuppaci un buon crostino caldo». Questa pratica, che può sembrare strana, in realtà spiega in maniera eloquente l’origine della parola toasting: in passato era prassi comune intingere un tozzo di pane nel vino per far sì, almeno così si credeva, che assorbisse l’acidità della bevanda migliorandone il gusto. Il toasting, nel tempo, ha assunto quindi il significato di brindisi e ha portato alla nascita, in Inghilterra, del toastmaster, la persona incaricata durante gli eventi di presiedere ai brindisi.

Il crescente consumo di alcol in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto a partire dal Settecento, portò alla nascita di movimenti e all’emanazione di leggi atti a ridurlo. Tra i più noti vi sono i Gin Acts, una serie di leggi sancite in Gran Bretagna tra il 1729 ed il 1751 per limitare il consumo di gin, e il Movimento per la temperanza, un movimento sociale diffusosi soprattutto nei Paesi di lingua anglosassone che promuoveva l’astinenza totale dalle bevande alcoliche.

Infine una curiosità altrettanto interessante: per scoprire l’origine del nostrano “cin cin” dobbiamo scomodare i commercianti cinesi. Nel XIX secolo i mercanti cinesi che intrattenevano scambi commerciali con i mercanti e i marinai inglesi erano soliti, prima di ogni trattativa, offrire del tè rivolgendosi a loro dicendo “qing, qing”, ovvero “prego, prego”. I commercianti britannici cominciarono a utilizzare questa espressione, in quanto frase benaugurante, durante i brindisi, la quale, per mezzo della nobiltà che ne venne contagiata, valicò i confini degli Stati italiani. Inoltre, il “cin cin” ha anche una valenza onomatopeica: la parola ricorda infatti il suono cristallino dei bicchieri che collidono.

 

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